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Il Blog di Massimo Binelli

Attualità

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Ti rivolgo subito tre domande binelliane a bruciapelo. Quando affronti i tuoi avversari, credi che questi ti vedano come un’aquila o come un pollo? Quando ti guardi allo specchio, ti sembra di vedere riflessa l’immagine di un’aquila o quella di un pollo? E credi di più a ciò che tu pensi che gli altri pensino di te o a ciò che tu pensi di vedere in quello specchio? Sì, lo so che adesso vorresti avere a disposizione due o tre giorni per riflettere sui miei quesiti cervellotici, ma sono fiducioso.

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«Coach, ho un pessimo rapporto con il denaro. Ho come la sensazione che i soldi che mi arrivano sul conto non mi servano, mi danno quasi fastidio e devo liberarmene». Ricevo con una certa frequenza messaggi simili a questo, inviati da parte di chi chiede il mio aiuto perché ha un rapporto conflittuale con il denaro. Al di là dei logori luoghi comuni, tipo “Se i soldi non fanno la felicità, figuriamoci la miseria”, bisogna accettare il fatto che il denaro è un attore principale del film della nostra vita e irrompe in scena continuamente, condizionando con la sua prorompenza ogni scelta che riguardi il nostro modo di nutrirci, vestirci, curare la salute, divertirci. Tu che rapporto hai con il denaro?

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Tra i tanti messaggi che ricevo ogni giorno, ce n’è stato uno, inviato da un giovane calciatore, che mi ha colpito particolarmente. «Tutti mi dicono che non ho la testa – scriveva Mario, così lo chiamerò in questa Pillola –, ma nessuno, finora, è riuscito ad aiutarmi e se io capisco che gli altri non credono in me non riesco a fare nulla, anche se so di valere. Forse c’è davvero qualcosa in me che non va». L’email di Mario era molto più lunga e articolata, ma la sintesi è questa. Nel riflettere sul modo più efficace per rispondergli, quel «so di valere» mi ha fatto tornare in mente una storia Zen che ha come protagonisti un ragazzo, un maestro e un anello. Forse la conosci già, perché è un cavallo di battaglia di molti guru della crescita personale, tuttavia ho deciso di raccontartela ugualmente.

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Perché pratichiamo sport? Per la salute, il benessere e per altre mille e una ragioni, ma una prevale su tutte: per divertimento. Si può percepire il lavoro come un dovere, ma non lo sport, sarebbe una contraddizione in termini. Ne ho parlato nella Pillola 165 dedicata proprio al binomio sport e divertimento. E perché ci appassiona così tanto guardare eventi sportivi? Sempre per divertimento. La storia dello sport è piena zeppa di campioni “simpatici” (e a titolo personale posso citare Usain Bolt, Valentino Rossi, Jury Chechi) e di campioni “antipatici” (sempre a titolo personale posso nominare Lewis Hamilton, Zlatan Ibrahimović, Christophe Lemaitre). Al di là dei gusti e delle eccezioni soggettive, perché un atleta viene percepito come universalmente simpatico oppure irrimediabilmente antipatico?

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«Eh, questa gara è andata bene, ma chissà quando riuscirò a ripetermi…». «Sì, sono stato fortunato e ho vinto, ma quando mi ricapita!». «Oggi non avevo niente da perdere, ma la prossima gara è importante e so già che mi verrà l’ansia!». Se sei un agonista, di qualunque sport, sono certo che almeno una volta nel corso della tua carriera hai sentito ronzare in testa un pensiero simile a uno di questi tre esempi. E posso assicurarti che si tratta di frasi che leggo in quasi tutti i messaggi che mi scrivono gli atleti interessati a iniziare un percorso di allenamento mentale. Succede quando il merito di una buona prestazione non viene considerato una vittoria interna ma soltanto una vittoria esterna, argomento che ho già affrontato nella Pillola 159 e nella Pillola 178.

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Perché lo fai?”. Sì, lo so, è il titolo di una canzone che Marco Masini ha sfornato quasi trent’anni fa, ma qui mi riferisco a tutt’altra musica. Ti sei mai chiesto veramente perché FAI quello che fai o perché NON FAI ciò che dovresti fare? LO FAI per abitudine, per noia, per senso del dovere, per necessità, perché non sai dire di no? Oppure NON LO FAI per paura, per mancanza di fiducia, per rassegnazione, per… aggiungi tu tutti i motivi per cui non fai quello che vorresti o potresti fare. Vuoi scoprire la “magia” del perché?

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Nella Pillola 138 ti ho suggerito le strategie da mettere in atto per creare un livello di osservazione della vita positivo e, di conseguenza, per consolidare una prospettiva degli eventi potenzialmente positiva. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo certamente concentrarci sulle opportunità, sulle soluzioni ai problemi e su ciò che abbiamo attorno a noi e dentro di noi, tuttavia potrebbe non bastare, soprattutto se ci rendiamo conto che talvolta è sufficiente un solo pensiero fuori posto per farci cambiare stato d’animo, con il rischio di compromettere l’esito di un evento importante. Si può fare “prevenzione”?

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«Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione». Chissà quante volte avrai sentito o letto questa frase di James Russell Lowell. Ai morti e agli stupidi possiamo tranquillamente aggiungere i folli, come insegnano la storia e la cruda attualità, tuttavia il punto non è trovare le categorie giuste con cui catalogare i coerenti fino alla fine. Il mio obiettivo è fornire uno spunto di riflessione che spinga a trovare un equilibrio individuale tra coerenza e cambiamento, perché per molte persone la difesa strenua delle proprie idee rimane per tutta la vita un valore granitico, ma il prezzo che pagano è altissimo. Ne vale sempre la pena?

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Nella Pillola 76, quella in cui parlo delle strategie che un Atleta Vincente può adottare per dare il massimo in gara, ho usato per la prima volta la definizione “cattiveria agonistica”. L’argomento è ampiamente trattato nel mio libro “Atleta Vincente. Strategie e tecniche per diventare campioni nello sport e nella vita”, tuttavia ho deciso di riprenderlo in questo articolo perché molti atleti mi chiedono come può essere potenziata questa “cattiveria” positiva senza sconfinare nell’aggressività negativa.

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Per questa Pillola prendo spunto dalle parole di Gianmarco “Mezzabarba” Tamberi, alias Gimbo, tratte da un’intervista rilasciata al QN nel giorno di esordio dell’atletica a Rio 2016, il 12 agosto scorso. È passato un po’ di tempo, ma il senso della riflessione è sempre attuale. Rispondendo al cronista che gli chiedeva «cosa pensa ogni volta che rivede quel salto che è costato l’Olimpiade e una probabile medaglia», Gimbo disse (cito testualmente): «L’ho rivisto tante volte il salto. È sbagliato dice il mio mental coach, è sbagliato dice mio padre, è sbagliato dice la mia ragazza. È sbagliato rivederlo, ma non ci riesco perché se ci penso credo sia una cosa impossibile, quindi lo rivedo e penso “è impossibile”». Sembra impossibile, caro Gimbo, perché tutto stava andando a meraviglia, ma è successo, e succede a molti atleti di infortunarsi alla vigilia di un appuntamento importante. Cosa poteva fare Gimbo per archiviare Rio 2016, mettere da parte i rimpianti e puntare a Tokyo 2020, e cosa può fare chi dovesse trovarsi nella sua situazione?

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