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Il Blog di Massimo Binelli

Crescita Aziendale

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Quante volte ti è capitato di andare al lavoro con un pensiero fisso che per tutto il giorno ti frulla nella testa, oppure di andare ad allenarti e mentre ti stai riscaldando ti viene in mente che non hai fatto quella telefonata importante? E quante volte ti è capitato di svegliarti in piena notte con qualcosa che ti ronza in testa e che ti impedisce di addormentarti di nuovo? Sappi che c’è una soluzione tanto semplice quanto efficace per scaricare la cache, termine caro agli smanettoni del computer, per scaricare la memoria, detto in altre parole. Vuoi scoprila?

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Per un atleta, una delle fasi più critiche da gestire è quella del riscaldamento. In molte altre Pillole ho spiegato che quando è il momento di iniziare a muoversi, con la classica corsetta che fa salire le pulsazioni e attiva il sistema cardiocircolatorio, è importante partire anche con il riscaldamento mentale. Bisogna sviluppare la consapevolezza del momento e dialogare con il proprio corpo, con ogni muscolo, piuttosto che sprecare energie pensando ad altro. Vi sono discipline sportive, come l’atletica leggera, dove tutto è calibrato al minuto, quindi l’atleta può pianificare il riscaldamento con un anticipo (quasi) perfetto. In altre discipline, invece, l’incertezza regna sovrana e un atleta può ritrovarsi a dover gestire un riscaldamento lunghissimo. Infine, ci sono gare molto rapide, come una corsa di 100 metri, e gare estremamente lunghe, come l’incontro di tennis tra John Isner e Nicolas Mahut giocato nel primo turno del torneo di Wimbledon 2010, durato 11 ore e 5 minuti... Come si gestiscono queste situazioni estreme?

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Nella terza sessione del videocorso Atleta Vincente, spiego che esiste un legame molto solido tra consapevolezza, attenzione e concentrazione, perché grazie al processo della consapevolezza sei saldamente nel presente, utilizzi il filtro dell’attenzione per setacciare le informazioni che ti bersagliano da ogni fronte e le organizzi tramite la concentrazione per tradurle nella migliore azione possibile. Dunque è la consapevolezza che potenzia la nostra intenzione di prestare attenzione alle cose che riteniamo importanti per noi, e più intensa è l’attenzione, più efficace è la nostra azione. Ma ti sei mai chiesto cos’è che attira davvero la tua attenzione?

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Alla consapevolezza del “qui e ora”, tema che può essere sviluppato da più livelli di osservazione, ho dedicato diverse Pillole e un’intera sessione del videocorso Atleta Vincente. Ciò nonostante, continuo a ricevere numerose richieste di approfondimento, soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza in gara, nel momento in cui dovremmo sperimentare la massima attivazione agonistica.

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Quando ripenso al 200° oro olimpico della storia italiana, conquistato nel judo da Fabio Basile, anche se è già passato più di un mese, provo ancora una grande emozione. Sono fatto così, la gioia di un atleta che raggiunge l’obiettivo più importante di un’intera carriera, in qualunque disciplina, mi fa commuovere, perché so cosa significa soffrire per anni, sacrificare la propria gioventù per lo sport, per una medaglia, anche di latta. Chi non ha questo fuoco dentro, e magari liquida le tue fatiche con un “ma chi te lo fa fare”, il più delle volte detto in modo quasi beffardo, come a lasciare intendere “io mi godo la vita, sono più furbo di te”, mi fa quasi pena, non sa cosa si perde. Nel turbine delle interviste, Basile, ancora tra l’incredulo e il frastornato, ha detto: «A Tokyo, nel 2020, avrò qualcosa da perdere», ricordi? Ma è davvero così?

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Staccare un biglietto per partecipare ai Giochi Olimpici è il sogno di ogni agonista che dedica la propria vita allo sport. Riuscire ad entrare in una finale, a seconda della combinazione atleta-etnia, può rasentare la pia illusione. Basti pensare alle gare di mezzofondo, predominio assoluto dei neri africani, o alla velocità, affare che riguarda giamaicani, americani e pochi altri al mondo. Fino a Rio 2016, anche il tiro a volo era un circolo chiuso, eppure un perfetto sconosciuto, di origine egiziana, alla sua prima esperienza a cinque cerchi, è riuscito ad entrare nella finale a sei del trap, la fossa olimpica, una delle discipline del tiro a volo, e a gestire una tensione potenzialmente devastante. Come è stato possibile?

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La Pillola dedicata all’autostima ha suscitato molto interesse e la mia definizione, tratta dalla sesta sessione del videocorso Atleta Vincente, «Avere autostima vuol dire conoscere il proprio valore, pur nella consapevolezza dei propri limiti», è stata largamente condivisa, tuttavia il cammino verso il potenziamento dell’autostima parte da un’azione consapevole che non può essere data per scontata. Non basta, infatti, avere coscienza della propria dignità, rispettarsi e avere fiducia nelle proprie capacità: per poter sviluppare una sana autostima occorre sperimentare l’accettazione di sé.

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Nella sesta sessione del videocorso Atleta Vincente do questa definizione di autostima: «Avere autostima vuol dire conoscere il proprio valore, pur nella consapevolezza dei propri limiti». Significa che bisogna avere coscienza della propria dignità, prima come persona e poi come atleta. Significa che dobbiamo possedere la chiara percezione del proprio sé, rispettarsi e avere fiducia nella capacità di esercitare il controllo efficace delle possibili situazioni che ci troviamo ad affrontare, nella vita, in allenamento o in gara. Ecco la domanda: si può potenziare il motore dell’autostima?

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Saresti capace di guidare la tua auto guardando sempre e soltanto nello specchietto retrovisore? E riusciresti a guidare con i piedi infilati in due scarponi da sci, mentre con una mano stai scrivendo un messaggino sul cellulare e con l’altra spippoli sul navigatore? In futuro, quando le auto a guida automatica saranno sul mercato, forse potresti rispondere sì, che tutto ciò sarebbe possibile, ma quel futuro è ancora abbastanza lontano, quindi la risposta corretta è no: per evitare di spiaccicarti sul primo platano, devi guardare avanti e devi avere la piena padronanza del tuo corpo. Riesci ad afferrare la potenza di tale immagine?

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Tutto quello che entra in gioco in una relazione interpersonale è comunicazione: mimica; atteggiamento; tono, timbro, volume, inflessione della voce; pause; distanza interpersonale; gestualità. La componente non verbale, ossia il linguaggio del corpo, trasmette sempre un’informazione aggiuntiva sul contenuto della comunicazione che può essere di conferma, di negazione o di disconferma. Si può modificare il linguaggio del nostro corpo per rendere più efficace la comunicazione?

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